Il saluto di ingresso di don Daniele a S. Agostino

«Così non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6).

Carissimi,

voglio iniziare questo saluto, sfruttando prorpio questa immagine sponsale usata da Gesù, per noi Chiesa sposa di Cristo, chiamata insieme a dare “carne al Vangelo”.

Aggiungo solo qualche umile parola innanzitutto di ringraziamento, alla preghiera di questo giorno e al momento che stiamo vivendo.

Grazie Eccellenza! Non mi gratifica il riconoscimento, ne il volersi affidare ancora a me per questo bellissimo servizio che mi onora, ma la fiducia costante che mostra nei miei confronti. Non so come faccia il Signore e dove trovi la sicurezza vista la mia povertà, ma sono certo di contemplare la gloria di Dio in questa opera che si esprime attraverso di voi. Giunga a Dio quindi per mezzo vostro la mia lode.

Grazie alla mia famiglia che sempre mi supporta nella sua discrezione, siete il cuore della mia vocazione e la gioia dei miei sorrisi più intimi. Rallegratevi con me per questa missione!

E saluto voi carissima comunità di San Vincenzo Pallotti che oggi mi accogliete con tanto calore, nonostante la fatica di separarsi da un pastore che ha amato benevolmente il suo gregge. Caro don Nicola sentiti sereno in questo avvicendamento, proverò anche io come tu hai fatto premurosamente, a prendermi cura di questa porzione di popolo di Dio. Anche per te, lo sai, ringrazio il Signore, perchè non siamo stati solo “colleghi di lavoro” ma discreti e intelligenti nella fraternità, umile ancella della vita pastorale, degna sposa della vita sacerdotale. A te va il mio augurio di muovere sempre le coscienze nella bellissima comunità di Savignano, di sostenerla e di elevarla al Signore.

Grazie alla comunità di San Pietro che da ormai 7 anni condivide tutto di me, gioie e dolori, fatiche e speranze, e da molto più tempo ne condivide la passione per il vangelo. Essere qui oggi è un pò tornare indietro, nella gioia del presente che ci accompagna in una nuova missione.

«Ecco facciò nuove tutte le cose», questa profezia scritta nel libro dell’Apocalisse oggi si avvera anche per noi: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il “Dio-con-loro”.
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi
;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate».

Ecco la nostra dimora, la presenza di Dio in mezzo a noi fa essere di noi un popolo, ci dà identità, ci fa essere “Chiesa”, ci fa diventare fratelli. Senza di Lui nemmeno la più viva parrocchia di questo mondo sarà chiesa. Per cui ecco perchè diventa possibile che da due popoli, da due comunità, oggi possiamo chiamarci insieme popolo di Dio, con un solo pastore. Da oggi infatti, non ci chiameremo più “la comunità\parrocchia di S. Agostino o quella di San Pietro”, ma la comunità di Dio unica, con due case, due polmoni, che la aiuteranno a far battere il cuore per Cristo con maggiore vigore.

In questo senso permettetemi di dare a voi e a me stesso subito quindi una nuova regola, che rubiamo a quella che San Vincenzo Pallotti aveva dato alla sua congregazione: «La Regola fondamentale della nostra minima congregazione – scriveva il santo – è la vita del nostro Signore Gesù Cristo per imitarlo con umiltà e fiducia con tutta la possibile perfezione in tutte le opere di vita nascosta e di pubblico ministero evangelico, per la maggior gloria di Dio Padre nostro celeste e per la maggior santificazione dell’anima nostra e dei nostri prossimi».

Essere cristiani oggi è una scelta audace che non può più esprimersi nel delegare ai soli sacerdoti o ai religiosi o ad pochi di vivere i consigli evangelici. L’unità a Cristo e ai fratelli, è l’unica via possibile non solo per la pastorale ma anche per la propria santificazione che deve coinvolgere tutti e a tutti va annunciata la salvezza del Signore.

«Mi riferisco – scrive San Paolo nella 1 Corinzi (12,13) –  al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!».
Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?
».

Il Signore ci sta chiamando oggi, in questo tempo così martoriato da divisioni e guerre, a essere segno di speranza, di gioia, di vita attraverso la nostra fraternità, attraverso la nostra unità, anche con le parrocchie vicine della Cattedrale, di San Giovanni, del Carmine e di San Liberatore. Oggi più di ieri abbiamo bisogno di sentirci unico popolo di Dio!

A motivo di ciò desidero anche esprimere il mio auguro ai cari confratelli Don Antonio Lo Conte e don Vincenzo lo Sanno che iniziano insieme a me questa avventura, sostenuti dall’amicizia di don Gaetano Famiglietti e la paternità di don Antonio Blundo, in unità e obbedienza al Vescovo, supereremo le barriere che a volte la storia di ha consegnato di identità e di campanile, e continueremo a sentirci corpo di Cristo in cammino.

Credo di dover terminare, ma concludo con un pensiero molto personale che vi condivido, perchè in queste giornate, in cui tante volte mi sono detto simpaticamente con le parole di Marcello D’Orta “Io speriamo che me la cavo”, la risposta di Dio è stata sempre la stessa: seguimi! Mi ha preparato, però, con una cura dolce, puntuale, sicura. Alla fine ho avvertito, leggendo i trattati su Giovanni di sant’Agostino che il Signore mi stava facendo una domanda: mi ami Daniele? Pasci le mie pecore (cfr. Gv 21, 17), che significano – scrive Agostino: «Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, e pascile come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua, il mio dominio, non il tuo, il mio guadagno, non il tuo».

Si Signore lo sai che ti amo e sono consapevole anche come il santo parroco napoletano Vincenzo Romano,  che “Signore, niente io posso, niente io sono, niente io so, la Cura è vostra, nella vostra parola, come San Pietro, io mi getto in questo mare… O Gesù, io sono l’asinello sotto di voi, voi guidatemi, voi tiratemi, voi regolatemi”.

A te o Vergine Madre, Maria, Tota Pulchra, che sempre ti premuri di condurmi al tuo figlio, che dalla mia infanzia ti sei presa di cura di me e ancora oggi segni il passo del mio cammino, sostienimi ancora mentre vacillo, illuminami nell’ora della prova, purifica il mio cuore, perchè io possa essere servo buono e fedele, capace solo di dire di Dio, di portare a Lui quante più anime, di salvare la mia e quella delle mie comunità.

A te, madre amorevole, affido questi tuoi figli, ma in particolare i nostri giovani. Oggi 8 dicembre, anniversario dell’apertura del primo oratorio di don Bosco, imprimi nel nostro cuore, nella nostra mente, nelle nostre braccia, il desiderio di prenderci cura di loro. Lascia che possiamo anche dimenticarci di noi stessi, di perdere ciò che è superfluo, di accantonare ciò che non è urgente, ma donaci la passione nell’anima di dedicarci alle nuove generazioni, come adulti responsabili e testimoni della speranza viva nel Signore risorto. Amen

CF 90000380643